Lo scorso novembre in una mattina di sole come non se ne vedevano da settimane sono uscita dal tutone-quasipigiama-scarmigliato-da-scadenze pre-natalizie e sono arrivata trepidante e ritardataria all’appuntamento con Canon Academy.
Non sapevo cosa aspettarmi, a parte il fatto che sarei stata con ragionevole certezza la più scarsa della classe. Mi piace guardare le foto degli altri, ma tutti i tentativi di cimentarmi in prima persona sono stati coronati da risultati decisamente blandi e dallo scorno del confronto con le foto fatte da mio papà, che da giovane oltre a un ottimo disegnatore era pure un ottimo fotografo (scatole su scatole di foto alla sua giovane moglie – nonché futura miamadre – tutte belle). Nonostante il fatto che i miei primi tentativi di imparare a foto decenti risalgano ad un’epoca in cui sviluppare e stampare era una necessità e non un vezzo, dieci anni di macchine digitali “punta e scatta” sono bastati a rimuovere allegramente tutto quello che sapevo su come funzionasse una macchina fotografica. E le mie foto restavano comunque pessime. Alla fine sono arrivata alla convinzione di essere una pippa e ci ho messo una pietra sopra.
Poi in primavera è arrivata sulla mia scrivania la Canon Eos M. Siamo andate in giro assieme da marzo a dicembre e improvvisamente scopro che ok, non sarò Vivian Meyer ma sai che le mie foto sono decisamente migliorate? La macchina è leggera, posso tenerla in borsa e mi ricorda quelle di mio papà, con quell’aria solida di oggetti che sanno quello che fanno. Arriva novembre, arriva Canon Academy, arrivo io col mio livello di competenza fotografica “la modalità auto è la mia migliore amica”.
Di quella giornata passata un po’ in classe a imparare la teoria e un po’ fuori in strada a fare pratica mi restano un sacco di cose su come fare foto migliori e due idee. Una è facile: non aver paura di sbagliare cento volte prima di farla quasi giusta la centounesima.
Sembra un concetto elementare, ma è incredibile quanto da adulti ci si possa disabituare alla sensazione di fare le cose per la prima volta e farle male, malissimo, ma poter migliorare con la pratica e non avendo paura di fare domande stupide. Non è scienza dei razzi. Nessuno – men che mai il nostro altrettanto amabile docente – si è scomposto per il fatto che fossi l’equivalente fotografico di una scimmia con una macchina da scrivere.
L’altro aspetto che mi porto dietro da settimane dopo questa giornata – ne ho parlato con chiunque avesse voglia di starmi a sentire – è che mi sono resa conto con sorpresa di quanta poca importanza all’educazione alle immagini viene data in una società che ha scelto di fatto le immagini come modalità prevalente di comunicazione. È una sorta di analfabetismo funzionale: che siano le foto su Instagram, l’ennesima infografica o le slide di Powerpoint la maggior parte di noi viene educata in maniera molto parziale alla comprensione di un linguaggio onnipresente. Non veniamo educati alla composizione delle immagini e di conseguenza anche alla loro comprensione. Venire esposti continuamente a un linguaggio di cui si conosce poco la grammatica limita non solo il piacere nell’usarlo ma anche la capacità di riconoscerne le trappole e le debolezze. Non sapere rende vulnerabili.
Ci ho pensato quando in classe abbiamo parlato delle regole scritte e non scritte della fotografia in luoghi pubblici, di quello che diamo per scontato di poter fare semplicemente perché lo abbiamo sempre fatte. Mi è venuto da ragionare su fenomeni che non esistevano quando i telefoni non avevano una fotocamera e una connessione dati (un esempio: lo stranger shaming).
Credo che chiunque abbia fatto anche solo una foto con lo smartphone si godrebbe un corso così. E in fondo ci guadagneremmo tutti a vedere meno foto brutte nel newsfeed (comprese le mie). L’unico lato negativo è che ora sto già guardando con gli occhi dell’amore il workshop sui cetacei a bordo delle navi del Tethys Institute e mi mancava giusto una macchina fotografica per alimentare la mia fissa per gli animaluzzi.
Qui ci sono un po’ delle foto che ho fatto in giro per Milano quel martedì. Una macchina fotografica è una scusa bellissima per andare a spasso.