A giugno di quest’anno ho fatto l’esame finale del triennio di Illustrazione della Scuola Superiore d’Arte Applicata
del Castello Sforzesco. L’ultimo esame dell’ultimo dei tre anni, il mostro di fine livello. Dato che ne avevo scritto quando avevo cominciato, dopo il primo anno e pure dopo il secondo, pensavo che avrei avuto un sacco di cose da dire dopo L’Esame, Il Coronamento, La Cosa Definitiva.
Mi aspettavo di avere qualcosa da scrivere visto che investimento emotivo è stata la scuola, quanto mettermi a studiare quello che volevo fare dall’inizio ma non avevo capito come fare ha contribuito a trasformarmi da una persona perennemente arrabbiata (ma contro che? questo è un discorso per un’altra volta) a una persona forse non sempre tollerabile, ma molto più serena e in pace con le proprie scelte.
E invece non ho scritto niente. Per tre ragioni: la prima è che, incredibilmente, non avevo niente da dire. Non che non fosse significativo, al contrario: è che c’è un tale abisso tra quando ho iniziato la scuola e quando ho finito che non riesco nemmeno a paragonare i due momenti. Anche perché davanti a me non si apre la prateria sterminata di “e adesso?” come dopo la fine di un ciclo di studio al liceo o all’università: si apre una prateria sterminata di lavoro rimandato a dopo l’esame, altro che riflessioni elevatissime. Il secondo motivo è che avere cominciato a studiare mi ha fornito l’ossatura per capire quanto altro abbia ancora da studiare, quanti “muscoli” su cui lavorare e quante ore di volo da macinare con la matita in mano. Non è un momento definitivo, è un passaggio di un qualcosa che è ancora in corso, che non è compiuto.
La terza, principale ragione è che ho sonno. Ho veramente un sacco di sonno. Ho avuto sonno sino ad agosto, quando me ne sono andata in vacanza e per un mese sono andata a dormire alle dieci, senza che nessuno, neanche le vocine nella mia testa avessero niente da dire riguardo questa totale mancanza di propensione per il rock and roll. Ho avuto così tanto sonno quest’anno che tutti gli errori che era possibile fare li ho fatti tutti.
Ora che sono tornata dalle vacanze mi sento un po’ come avessi fatto un ricco pisolino. Ho un sacco di cose da fare, ma – credo – anche le energie per farle. Solo che, proprio come una che ha fatto un ricco pisolino, sto realizzando solo adesso che La Cosa che per tre anni ha totalizzato la mia attenzione non c’è più. E che adesso ho in dote esattamente quello che hanno tutti: 24 ore nella giornata. Non ci sono più scuse. Ho a disposizione le stesse ore di tutti. Sembra una banalità, ma è cruciale. Se non vado a camminare, o in piscina, o in palestra, non è più perché non ho tempo: è perché mi pesa tantissimo il culo. Se ce la fanno gli altri ce la faccio pure io. Le scelte che farò quest’anno sono importanti perché – cataclismi a parte – dipendono tutte da me. Quindi dipende da me il mio tempo libero, le vacanze che potrò fare, i posti che potrò vedere e quanto sarò in grado di migliorare.
Alcune cose sono personali, come iniziare a muovermi, fare yoga tutti i giorni, fare un viaggio grande.
Poi ci sono quelle che riguardano le cose che faccio. Disegnare tutti i giorni. Andare a Inchiostro, a Bilbolbul, a Illustri Festival, al TCBF e un sacco di altre cose belle che così a bruciapelo non mi vengono ma di cui so per certo quanto ho rosicato a mancarle sistematicamente ogni anno. Tipo fare Inktober. Ecco, intanto comincio facendo Inktober. Tutto il resto richiedimelo ad ottobre, che a fare quelli pieni di buone intenzioni a settembre so’ bravi tutti.