Non è che sia un gran mistero la mia passione per i mammiferi marini. Fatto sta che non sono l’unica: anzi.
Lo scorso inverno Massimo – con cui ci eravamo scambiati qualche mail per il poster del Lamentino – vedendo su instagram uno sketch di una balena mi ha chiesto se avessi in cantiere qualche nuovo poster, stavolta con le balene. Domanda non casuale: la sua significant other, Margherita, aveva appena finito di leggere un libro sull’argomento e c’era rimasta sotto, com’è normale che succeda quando si ha a che fare con le balene.
Massimo ha due richieste: che ci sia una balena, e che ci siano le margherite.
La balena che viene fuori non è né precisamente una megattera né proprio una balenottera azzurra: è più una specie di essenza della balenità, l’idea platonica della balenezza, l’orgoglio e la soddisfazione di essere balena. D’altra parte lo dice anche wikipedia: il termine balena definisce, in senso lato, qualsiasi cetaceo di gigantesca taglia (capodoglio, balenottera, megattera e balena propriamente detta) per cui ci sta che la Balena Margherita non sia proprio di una specie né di un’altra, ma sia una balena che ha in sé molte balene.
Mi piace molto quel gigantesca taglia. Mi sembra che renda bene l’idea del fatto che sono grandi, molto più grandi di qualunque cosa ti capiti di vedere mai nella vita, e non intendo solo come dimensioni, ma come fonte di stupore e di prospettiva su quanto siamo piccoli e quanto sappiamo poco. Quanto sono incredibilmente fighe le balene, dai.
Ripensandoci non ho mai chiesto quale fosse il libro in questione, nella mia testa poteva essere solo Un libro sulle balene di Andrea Antinori, che è un ottimo esempio dell’inequivocabile fighezza delle balene e di tutto ciò che le riguardano.
Invece quest’estate ho disegnato un capodoglio e ho scoperto che la pelle del dorso del capodoglio viene paragonata ad una prugna secca, poveri splendidi rugosoni.
Ma questa è una storia per un’altra volta.